Il tesoro dei poveri
Racconta un poeta:
C’era una volta, non so più in quale terra, una coppia di
poverelli.
Ed erano, questi due poverelli, così miseri che non
possedevano nulla, ma proprio nulla di nulla.
Non avevano pane da metter nella madia, né madia da
mettervi pane.
Non avevano casa per mettervi una madia, né campo per
fabbricarvi casa.
Se avesser posseduto un campo, anche grande quanto un
fazzoletto, avrebbero potuto guadagnare tanto da fabbricarvi
casa.
Se avessero avuto casa, avrebbero potuto mettervi la
madia.
E se avessero avuto la madia, è certo che in un modo o in
un altro, in un angolo o in una fenditura, avrebber potuto
trovare un pezzo di pane o almeno una briciola.
Ma, non avendo né campo, né casa, né madia, né pane,
erano in verità assai tapini.
Ma non tanto del pane lamentavano la mancanza, quanto
della casa.
Del pane ne avevano abbastanza per elemosina, e qualche
volta avevan anche un po’ di companatico e qualche volta anche
un sorso di vino.
Ma i poveretti avrebber preferito rimaner sempre a
digiuno e possedere una casa dove accendere qualche ramo secco o
ragionar placidamente d’innanzi alla brace.
Quel che v’ha di meglio al mondo, in verità, a preferenza
anche del mangiare, è posseder quattro mura per ricoverarsi.
Senza le sue quattro mura, l’uomo è come una bestia errante.
E i due poverelli si sentirono più miseri che mai, in una
sera triste della vigilia di Natale, triste soltanto per loro,
perché tutti gli altri in quella sera hanno il fuoco nel camino
e le scarpe quasi affondate nella cenere.
Come si lamentavano e tremavano su la via maestra, nella
notte buja, s’imbatterono in un gatto che faceva un miagolìo
roco e dolce.
Era, in verità, un gatto misero assai, misero quanto
loro, poiché non aveva che la pelle su le ossa e pochissimi peli
su la pelle.
S’egli avesse avuto molti peli su la pelle, certo la sua
pelle sarebbe stata in miglior condizione.
Se la sua pelle fosse stata in condizion migliore, certo
non avrebbe aderito così strettamente alle ossa.
E s’egli non avesse avuta la pelle aderente alle ossa,
certo sarebbe stato egli forte abbastanza per pigliar topi e per
non rimaner così magro.
Ma, non avendo peli ed avendo invece la pelle su l’ossa,
egli era in verità un gatto assai meschinello.
I poverelli son buoni e s’aiutan fra loro.
I due nostri dunque raccolsero il gatto e neppure
pensarono a mangiarselo; ché anzi gli diedero un po’ di lardo
che avevano avuto per elemosina.
Il gatto, com’ebbe mangiato, si mise a camminare
d’innanzi a loro e li condusse in una vecchia capanna
abbandonata.
C’eran là due sgabelli e un focolare, che un raggio di
luna illuminò un istante e poi sparve.
Ed anche il gatto sparve col raggio di luna, cosicché i
due poverelli si trovaron seduti nelle tenebre, d’innanzi al
nero focolare che l’assenza del fuoco rendeva ancor più nero.
«Ah!» dissero, «se avessimo appena un tizzone!
Fa tanto freddo!
E sarebbe tanto dolce scaldarsi un poco e raccontare favole!»
Ma, ohimè, non c’era fuoco nel focolare, poiché essi
erano miseri, in verità miseri assai.
D’un tratto due carboni si accesero in fondo al camino,
due bei carboni gialli come l’oro.
E il vecchio si fregò le mani, in segno di gioia, dicendo
alla sua donna: «Senti che buon caldo?»
«Sento, sento,» rispose la vecchia.
E distese le palme aperte innanzi al fuoco.
«Soffiaci sopra,» ella soggiunse. «La brace farà la
fiamma.»
«No,» disse l’uomo, «si consumerebbe troppo presto.»
E si misero a ragionare del tempo passato, senza
tristezza, poiché si sentivano tutti ringagliarditi dalla vista
dei due tizzoni lucenti.
I poverelli si contentan di poco e son più felici. I
nostri due si rallegrarono, fin nell’intimo cuore, del bel dono
di Gesù Bambino, e resero fervide grazie al bambino Gesù.
Tutta la notte continuarono a favoleggiare scaldandosi,
sicuri ormai d’essere protetti dal bambino Gesù, poiché i due
carboni brillavan sempre come due monete nuove e non si
consumavano mai.
E, quando venne l’alba, i due poverelli che avevano avuto
caldo ed agio tutta la notte, videro in fondo al camino il
povero gatto che li guardava dai suoi grandi occhi d’oro.
Ed essi non ad altro fuoco s’erano scaldati che al
baglior di quelli occhi.
E il gatto disse: «Il tesoro dei poveri è
l’illusione.»
Gabriele D'Annunzio