Camilla


C'era una volta una bambina di nome Camilla. Aveva nove anni, i suoi capelli ricci e lunghi si adagiavano su quelle tenere sue spalle, i suoi occhi azzurri come il cielo davano pace a chi li guardasse, le sue labbra come petali di rosa risaltavano su quel viso roseo pallido. Camilla era paralitica dalla vita in giù dalla nascita, ed era costretta a stare sulla carrozzella. Non c'era domenica che non mancasse alla messa, e che non si cibasse del corpo e il sangue di Gesù. Un martedì mattina Camilla si era alzata con l'idea di andare in chiesa, che per fortuna non distava molto dalla sua casa, fece di tutto per andarci da sola - per gli scalini avrebbe chiesto aiuto ai fedeli che come tutte le mattine andavano a messa - fino a quando i genitori acconsentirono. Ora era sola nella strada imbiancata dalla neve che era caduta durante la notte, fece un lungo sospiro e poi con quelle mani fragili e gelide fece girare le ruote della carrozzella finchè non arrivò davanti alla chiesa. Ora davanti a lei si presentarono cinque grandi gradini, e nessuno quella mattina andò a messa; "come faccio ora ha superare quell'ostacolo? tanta fatica per niente" pensò. Nel frattempo ricominciò a nevicare, "domani sarebbe stato Natale", disse dentro di se; si guardava intorno sperando che passasse qualcuno che l'aiutasse, aspettò più di un ora, si era rassegnata e stava per ritornare a casa, quando dal grigio cielo si apri uno squarcio di azzurro e ne discesero due meravigliosi Angeli che sollevarono la carrozzella e la deposero davanti all'altare e con reverenza da lei si congedarono. Camilla fece a tempo a regalargli un sorriso ed una lacrima prima che ritornassero da dove erano venuti. Prima di pregare volle ringraziarLo per averle mandato i suoi Angeli in aiuto, poi fu silenzio e con il cuore incominciò a pregare, e il suo pregare spontaneo ma vero, patito e pianto commosse anche Gesù, che come premio alla sua devozione volle donarle una goccia del suo sangue che gli scivolava giù dalla fronte su cui fu posta la corona di spine. Quella goccia ora cadde sulle sue gambe, e subito un grande calore l'avvolse in tutto il corpo. Ella s'impaurì e pregò Gesù di aiutarla. Mentre il calore aumentava, (lei non poteva sapere che quell'immenso calore era l'amor di Lui che la stava guarendo) gridò: "Dio, Dio mio" e si alzò in piedi facendo un passo e poi un altro. Quando il calore andava attenuandosi si rese conto di essere in piedi e di camminare, s'inginocchiò sotto alla croce, alzò il capo e il suo sguardo fissò quello del Cristo inchiodato, e gli disse: "Grazie, per quella goccia di sangue che mi hai voluto regalare come dono di Natale", e la carrozzella rimase un ricordo che il tempo impolverò. Da quel giorno e da quell'anno quella chiesa divenne pellegrinaggio non solo di malati e d'invalidi, ma anche di gente che non aveva niente da chiedere, se non di credere in una Fede, in quella Fede che non si vede, ma che esiste e vive.

by Angel

 

Natale al Fronte

Nel dicembre 1914 inglesi e tedeschi si fronteggiavano dalle trincee separate da una striscia di terra brutta e piatta, divisa al centro da filo spinato. Di tanto in tanto alcune sagome si avventuravano nella terra di nessuno, ma la maggior parte dei soldati rimanevano nel fango e nell'acqua che stagnavano nelle trincee, intenti solo ad evitare il fuoco dei nemico. La Vigilia di Natale, l'aria era fredda e piena di nebbia. Improvvisamente alcuni soldati inglesi stupefatti videro delle luci avanzare lungo le trincee nemiche. Poi venne l'incredibile suono di un canto. I soldati tedeschi cantavano Stille Nacht. Quando il canto cessò i soldati inglesi risposero con First Christmas. Il canto da entrambe le parti durò per un'ora. Poi una voce invitò tutti a superare le linee. Un tedesco con grande coraggio uscì dalla trincea, attraversò la terra di nessuno e scese nella trincea inglese. Altri commilitoni lo seguirono con le mani in tasca per dimostrare che erano disarmati. "Io sono un sassone e voi degli anglosassoni. Perché mai ci combattiamo?" chiese. Nell'alba limpida e fredda del giorno di Natale non ci fu nessuna sparatoria. Gli uomini avevano autonomamente stabilito un giorno di pace. "Uno spirito più forte della guerra era all'opera", commentò un osservatore. I comandanti di entrambe le parti non approvarono. Sapevano che l'amicizia fra nemici dichiarati avrebbe impedito la guerra. Ma la tregua continuò. Perfino gli uccelli selvatici, che tanto tempo prima occupavano il rumoroso campo di battaglia, ritornarono e furono nutriti dai soldati. Sarebbero stati salvati 9 milioni di uomini, se quei soldati avessero potuto obbedire al loro desiderio di amicizia e di pace e la tregua non fosse finita subito dopo Natale. Un soldato inglese, che aveva preso parte a quella memorabile pace natalizia, morì all'età di 85 anni. Fino alla fine dei suoi giorni non poteva sentire Stille Nacht senza che le lacrime gli rigassero le guance. Si ricordava degli amici tedeschi che aveva avuto in quel giorno di Natale e che, per quanto ne sapeva, aveva poi ucciso nei giorni che seguirono.

by Bruno Ferrero

 

La messa della grande festa...

...Per meglio incominciare la festa, mia madre concedeva- lei così parsimoniosa- a sé ed a me il sibaritico lusso d'una tazza di "nero bollente" al tavolino d'un caffeuccio, già aperto a quell'ora sull'angolo di via Roma.
Con lentezza sapiente assaporavo la bevanda per me preziosa, e mi riempivo le nari del suo aroma; non avrei voluto finire mai. Mi sentivo calda calda, con le vampe al viso; e leggerissima. L'atmosfera fumosa e satura di alcool, il banco rivestito di metallo bianco riflettente le fiammelle del gas, le bottiglie multicolori allineate sulle scansie eccitavano la mia fantasia.
- Presto, presto- diceva la mamma, alzandosi snella e pagando al banco- presto, presto: che non s'arrivi a messa già incominciata!...
Ancora un tuffo nelle vie buie: ancora ammiccar di fanali pazienti e saggi: poi, l'aprirsi di una porta chiodata, il sollevarsi d'una pesante portiera: uno splendor di lumi, un'ondata d'incenso, un fremere, un piangere d'organo.
Beatitudine d'essere in chiesa! I miei sensi già vigili si placavano in quell'armonia calda e ricca di vermiglio e d'oro, di fiammelle, di riflessi, di sacerdoti dai movimenti nobili e ritmici nei càmici di trina, nelle pianete di damasco. Fra quelle bellezze potevo evadere dalla povertà di casa mia, dalla meschinità rigida e nuda delle aule scolastiche, dalla chiassosa volgarità della strada.
Cercava, la mamma, per farmi felice- a quella messa mattiniera di Natale-di portarmi a sedere proprio dinanzi al presepe, che era esposto a destra, sotto l'altare. A bocca semichiusa, con occhi estatici ammiravo il Bambino, contavo i pastori, i mandriani e le loro offerte, e rifacevo con la fantasia il viaggio dei Re Magi, sotto la guida della stella di Oriente.
Ma non potevo fare a meno di guardare, volgendo la testa, anche i quadri della Via Crucis, appesi lungo la navata centrale, e messi in luce dalle fiamme, dei molti candelabri, tra festoni rossi frangiati d'oro.

by Ada Negri

 

I Regali nello sgabuzzino

Il postino suonò due volte. Mancavano cinque giorni a Natale. Aveva fra le braccia un grosso pacco avvolto in carta preziosamente disegnata e legato con nastri dorati. "Avanti", disse una voce dall'interno. Il postino entrò. Era una casa malandata: si trovò in una stanza piena d'ombre e di polvere. Seduto in una poltrona c'era un vecchio. "Guardi che stupendo pacco di Natale!" disse allegramente il postino. "Grazie. Lo metta pure per terra", disse il vecchio con la voce più triste che mai. "Non c'è amore dentro" Il postino rimase imbambolato con il grosso pacco in mano. Sentiva benissimo che il pacco era pieno di cose buone e quel vecchio non aveva certo l'aria di spassarsela male. Allora, perché era così triste? "Ma, signore, non dovrebbe fare un po' di festa a questo magnifico regalo?". "Non posso... Non posso proprio", disse il vecchio con le lacrime agli occhi. E raccontò al postino la storia della figlia che si era sposata nella città vicina ed era diventata ricca. Tutti gli anni gli mandava un pacco, per Natale, con un bigliettino: "Da tua figlia Luisa e marito". Mai un augurio personale, una visita, un invito: "Vieni a passare il Natale con noi". "Venga a vedere", aggiunse il vecchio e si alzò stancamente. Il postino lo seguì fino ad uno sgabuzzino. il vecchio aprì la porta. "Ma ... " fece il postino. Lo sgabuzzino traboccava di regali natalizi. Erano tutti quelli dei Natali precedenti. Intatti, con la loro preziosa carta e i nastri luccicanti. "Ma non li ha neanche aperti!" esclamò il postino allibito. "No", disse mestamente il vecchio. "Non c'è amore dentro".

by Bruno Ferrero

 

I Tre Agnellini

Lassù sulle montagne del Tirolo, c'era un piccolo villaggio dove tutti sapevano scolpire santi e Madonne con grande abilità. Ma giunse il tempo in cui non ci furono più ordinazioni per le loro belle statuine religiose. Un pomeriggio Dritte, uno dei maestri intagliatori, entrando nella sua bottega trovò un fanciullo biondo, che giocava con le statuine del presepio. Dritte gli disse con fare burbero che le statuine del presepio non erano giocattoli. Il bambino rispose: "A Gesù non importa, Lui sa che non ho giocattoli per giocare". Maestro Dritte commosso gli promise un agnellino di legno con la testa che si muoveva. "Vienilo a prendere domani pomeriggio, però, strano che non ti abbia mai visto, dove abiti?" "Là", rispose il fanciullo indicando vagamente l'alto. Il giorno dopo, prima di mezzogiorno, l'agnellino era pronto, bello da sembrare vivo. Ad un tratto si affacciò alla porta della bottega di Dritte una giovane zingara con un bambino in braccio. Il bambino appena vide l'agnellino protese le braccine e l'afferrò. Quando glielo vollero togliere di mano si mise a piangere disperato. Dritte che non aveva nulla da dare alla povera donna disse sospirando: "Tienilo pure. Intaglierò un altro agnellino". Nel pomeriggio tardi Dritte aveva appena terminato il secondo agnellino quando Pino, un povero orfanello, venne a salutarlo. "Oh! che meraviglioso agnello", disse. "Posso averlo per piacere?". "Sì tienilo pure, Pino, io ne intaglierò un altro". E così fece. Ma il bambino dai capelli d'oro non ritornò, e l'agnellino rimase abbandonato sullo scaffale della bottega. La situazione del villaggio continuava a peggiorare e Dritte cominciò ad intagliare giocattoli per i bambini del villaggio per far loro dimenticare la fame. Un giorno un mercante di passaggio si offrì di comperare tutti i giocattoli che Dritte riusciva ad intagliare. Dritte rifiutò di intagliare giocattoli per denaro: "Sono alla locanda", disse il commerciante, "in caso cambiate idea". La piccola Marta era molto malata e Dritte, per farla sorridere, le regalò l'agnellino che aveva conservato sullo scaffale della sua bottega. Mentre tornava dalla casa di Marta, incontrò il bambino dai capelli d'oro. "Ho tenuto l'agnellino fino ad oggi, ma tu non sei venuto. Ne farò subito un altro".
"Non ho bisogno di un altro agnellino" disse il fanciullo scuotendo il capo, "quelli che hai donato al piccolo zingaro, a Pino e a Marta li hai donati anche a me. Fare un giocattolo può servire alla gloria di Dio quanto intagliare un santo". Un attimo dopo il fanciullo era scomparso. Quella notte Dritte si recò alla locanda. "Costruirò giocattoli per voi", disse. "Allora avete cambiato idea" sussurrò il mercante. "No", rispose Dritte con gli occhi scintillanti, "ma ho ricevuto un segno da Dio!"

by Bruno Ferrero

 

Il Tronchetto

Ogni sera, quando il padre di Nellina rientrava dal bosco, scuoteva la neve dagli stivali e brontolava: "Oh, là là! Che caldo fa, qui! Sembra un forno! Guarda, Nellina, i vetri delle finestre sono tutti appannati! E poi, sempre questo odore di dolci e creme bruciacchiate! Toh, guarda tua madre, coperta di farina dalla testa ai piedi! Che idea che ho avuto di sposare una fornaia!".
Naturalmente la mamma di Nellina non era contenta. I suoi occhi brillavano di collera. Gridava: "Che cosa? Dolci bruciacchiati? lo? I miei panettoni farciti sono i migliori dei mondo! E poi io faccio delle cose con le mie mani. Tu, grand'uomo, non fai che demolire dei poveri alberi che non t'hanno fatto niente. Guardalo, Nellina, tutto coperto di segatura dalla testa ai piedi!". Nellina ne aveva abbastanza di questi litigi. Si arrotolava le trecce bionde forte forte intorno alle orecchie e non sentiva più niente. Ma il papà continuava a gridare: "Questa sedia è tutta appiccicosa. È ancora la tua crema!". E la mamma urlava: "Crema? ma quale crema: è la resina dei tuoi maledetti alberi. La spiaccichi dappertutto!". Quella sera, Nellina piangeva nel suo lettino. Amava tanto il papà e la mamma. Ma ora esageravano. Due giorni dopo era Natale e loro non facevano nessuno sforzo per andare d'accordo e passare una bella festa insieme. Il papà si era rifiutato di ridipingere l'insegna della pasticceria. La mamma non aveva voluto rammendare il gilet dei marito. I grossi lacrimoni di Nellina bagnavano la sua bambola preferita. Il giorno dopo Nellina raccontò tutto al cugino Gianni.
"Non serve a niente piangere" le disse Gianni. "Devi fare qualcosa. I tuoi genitori ti vogliono bene. Prepara tu la festa. Fabbrica un regalino, addobba la casa e Natale sarà una festa fantastica!". Nellina tornò a casa di corsa. Aprì le finestre, spazzò fuori farina e segatura. Pulì e lucidò. Decorò la casa con rametti di agrifoglio e carta crespa, aggiustò il gilet del papà e stirò il nastro che la mamma si annodava nei capelli. Poi si disse: "E adesso preparo una bella sorpresa! Almeno a Natale non litigheranno". E mentre mamma e papà erano al lavoro, Nellina preparò la sua sorpresa, ridendo da sola. Quando il padre rientrò, non riuscì a trattenere un fischio di sorpresa: "Oh, là, là! Che bella casa! E il mio gilet riparato per Natale". La madre a sua volta: "La casa addobbata e il mio nastro lavato e stirato. Che meraviglia!". Il giorno di Natale, andarono a Messa tutti insieme e poi tornarono per il pranzo. Al momento del dolce, Nellina portò la sua sorpresa. Mamma e papà aggrottarono le sopracciglia. La mamma domandò: "Che cos'è? Sembra un tronco d'albero, con la corteccia scura e un po' di neve. È disgustoso!". Il papà annusò e disse: "Sa di biscotti, cioccolato e zucchero in polvere. È disgustoso!" Poi, tutto d'un colpo, la mamma scoppiò a ridere e disse: "È un dolce, è per me. Grazie Nellina!" Il papà scoppiò a ridere anche lui: "È un tronchetto d'albero, è per me. Grazie Nellina!" Nellina, felice, gridò: "È per tutti e tre. E lasciatene un po' anche per me!".

by Bruno Ferrero

 

 

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Rielaborazione grafica © by Alba

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